Origine del nome della città di Montefalco


Compendio della vita di San Fortunato Patrono di Montefalco
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Montefalco

Quanto è contagioso il cattivo esempio! Ecco un Padre Abbate di Costanzo, che noi già conosciamo, il quale dedicandoti a scrivere un libro intitolato: Disamine degli Scrittori e dei Monumenti, riguardanti SAN RUFINO Vescovo e Martire di Assisi, immagina sotto questo sacro titolo di estendere la sua disamina sopra tutto ciò ch’ egli trova di glorioso in Assisi, associando insieme Assisi sacro e Assisi profano, Assisi cristiano e Assisi idolatra, Assisi lapidario e Assisi letterario, Assisi antico e Assisi moderno, e ciò a maggior gloria di Dio e de’ suoi Santi. Nella stessa maniera un pio Sacerdote Romano publicando nel 1829 colle stampe del Tomassini in Fuligno nu Compendio Istorico della Vila, Virtù e Miracoli di S. Fortunato Confessore, Parroco e Protettore di Montefalco, si fa un dovere di diffondersi sulla grande antichità, di quel paese per provare che la patria del Santo è realmente la Terra di questo nome, sebbene l’ antica sua denominazione fosse diversa dal nome odierno di Montefalco, e quindi non deve sorprendere, egli dice, se a maggior gloria del Santo io mi arbitro d’ inserire ancora te glorie della sua patria.

Conviene intanto premettere, che la cospicua Terra la quale oggi ritiene il nome di Montefalco non era conosciuta cinque o sei secoli indietro che sotto il nome di Coccorone, o Corcorone, come risulta da molti archivi municipali della provincia e dagli scrittori, che hanno parlato delle cose dell’Umbria dei bassi tempi. Ma lo storiografo di S. Fortunato con si attiene a tali memorie; egli aspira a farsi profeta del passato; egli si slancia intrepidamente nel buio dell’antichità, e per una fortuna concessa a lui solo egli vi scopre un Falisco Umbro fabbricato precisamente sull’ erta collina che al presente resta occupata dalla Terra suddetta. E come è sorto così all’ improvviso questo Falisco Umbro, di cui con si trova neppur l’ombra in tutta l’antichità? Montefalco patria di S. Fortunato, dice lo storiografo del nuovo Falisco, fu nei tuoi principi chiamato Falisco, differente però dall’altro Falisco, variato ancorai esso di nomia e chiamato Montefiascone, quale dagli scrittori viene chiamato Falisco Etrusco e questo Falisco Umbro; (ma quali sono questi scrittori che parlano del Falisco Umbro?) Vanta egli l’Umbro Falisco la sua origine dai Falisci Etruschi, se di una cosa tanto remota si debba prestar fede alla fama, la quale ce ne ha tramandata la notizia^ (Ma, io direi allo storiografo del nuovo Falisco voi non siete coerente; voi vantavate poco fa gli scrittori come garanti dell’origine dell’Umbro Falisco, ora l’unica vostra garanzia di una cosa tanto remota si riduce alla sola fama; peggio poi se questa fama non è che immaginaria e supposta).



Ciò accadde secondo l’attestato di Tito Livio quando debellati i Falisci da Camillo e ricoveratisi parte di essi nell’Umbria per stabilirvisi, come fecero nell’ anno di Roma 36, vi fabbricarono la città- di Falliene.  Per verità egli è un ardire insopportabile nello Storico di un Santo l’impiegare la menzogna per sostenere delle vane chimere. Non v’ è in Tito Livio né pure una parola di quanto gli viene qui falsamente attribuito. Lo storico latino racconta che nell’assedio di Falerio capitale dei Falisci un maestro di scuola traditore della sua patria condusse nel campo Romano una schiera di giovanetti affidati alla sua cura offerendogli a Camillo, che comandava l’assedio, come tanti ostaggi onde agevolargli l’acquisto sicuro della città. Ma l’eroe Romano sdegnò di macchiare con una viltà vergognosa la gloria delle sue armi, e facendo arrestare il maestro lo, rimandò con ignominia accompagnato e frustato dagli stessi suoi discepoli alla città assediata. Questo tratto di umanità e di eroismo penetrò talmente gli animi dei Falisci, che deliberarono all’ istante di chieder la pace e di arrendersi a discrezione ad un nemico sì magnanimo e si virtuoso, più contenti di vivere sotto il dominio di Roma che sotto le proprie leggi: melius nos sub imperio vestro, quam legibus nostris victuros. Le condizioni del la pace furono si grate ai due popoli, che tanto i vinti che i vincitori ringraziarono Camillo, la cui virtù aveva gettati i primi semi di questa pace benefica: Camillo et ab hostibus et a civibus gratiae actae, e tosto segnata la pace il Senato liberò il territorio Falisco anche dalla presenza dell’esercito: pace data exercitus Romam reductus.

Ora chi è l’insensato che da questo racconto sì chiaro, sì preciso, sì semplice di Tito Livio possa trarne l’assurda favola che i Falisci malcontenti di una pace chiesta ed ottenuta a patti onorevoli prendessero immediatamente le poste per venire nell’ Umbria a fabbricarvi l’Umbro Falisco? Ma no; non si tratta più dell’Umbro Falisco: e di che mai? O lettori, armatevi in questo luogo di nuova pazienza! Qui lo storiografo contraddice sé stesso, abbandona il primo assunto e dà a Montefalco un secondo battesimo col nome di Falliene. E donde salta fuori adesso cotesto Falliene? Ascoltate lo storiografo: Siccome i Toscani Falisci riconoscevano la loro principale città col nome di Falerio, così quivi con poco divario di lettere secondo più autori ( più autori! perché non citarne almeno uno solo?) si crede rinnovata la città de gli Umbri Falisci col nome di Falliene (nome derivato a capriccio dai Fallienati, Fallienates di Plinio, il quale però dice, che questi ed altri popoli erano periti in una contrada al di sopra di Terni ed in conseguenza fuori della valle dell’ Umbria, ove esiste Montefalco : in hoc tltu interiere Feliginates et qui Cluriolum tenuere supra Interamnam —– Item Fallienates ); che fu poi distrutta ai tempi di Plinio stesso nelle guerre o di Annibale o di Silla, dalle cui rovine opinano i medesimi che me sorgesse il Falisco oggi Montefalco. Ma con qual prodigiosa facilità si è cangiato tre volte il Falisco in Falliene, il Falliene in Falisco e nuovamente il Falisco in Montefalco? Ecco già tre battesimi di nome allo stesso paese in virtù del comodo divario di poche lettere, divario approvato anche dal buon Casalio, ch’ egli cita: cursu temporum ex barbarorum colluvione quae latina vocabula corrupit Mons Faliscus I et S literis detritis, extremisque immutatis Montefalco coeperit appellari. Così con poco divario dì lettere aggiunte o soppresse in una parola si fanno delle grandi cose, e ciascuno così potrà cangiare facilmente Cesare in cerasa, Bacco in becco, cavallo in cavolo e via discorrendo. Che rispondere a ciò? La saggia critica avvilirebbe troppo sé stessa, se si trattenesse a confutare sì ridicole ed inette goffagini.

Resta intanto ancora una gran difficoltà da superarsi. Dopo si lunghi ed inutili viaggi egli è forza in fine di tornare a Corcorone primo e vero nome di Montefalco. Come vi perviene finalmente il nostro storiografo di S. Fortunato? Sempre simile a sé stesso , sempre pronto a copiare le più sciocche favolette , egli non cessa di riprodurre il sognato eccidio di Falisco o Falliene, (giacché lo storiografo non si fa scrupolo di dare nella stessa epoca di tempo due o tre nomi diversi ad uno stesso paese); eccidio avvenuto, dice egli, nella guerra di Annibale o nella guerra fra Mario e Silla , lasciando al lettore di scegliere fra queste due guerre quella che più gli aggrada, quasiché sia un nulla l’enorme distanza di tempo che separa l’ una dall’ altra niente meno di cento trenta anni. Dopo questa immaginaria rovina il suo Falisco o Falliene sarebbe sparito per sempre dalla faccia dell’Umbria, se lo storiografo non vi spedisse prontamente dal Campidoglio uno dei più insigni Patrizi Romani con gran seguito di muratori per riedificarlo. Questo Romano di tanto buon cuore che si dedica ad un’opera sì caritatevole, ed è mosso di più dalla fama del nome Falisco e dall’ amenità del suo sito, porta il nome di Marco Curione; il quale designatolo per luogo di sue delizie e come a se sommamente caro lo chiamò Cor Curionis, detto poi volgarmente Corcurione, e ciò dovette essere verosimilmente ai tempi dì Cicerone , di cui si hanno più lettere scritte al di lui figlio in occasione della morte del padre per animarlo a seguire le di lui gloriose pedate. Io non avrò la debolezza di chiedere a questo facitore di Compendi Storici in quale antico scrittore abbia egli rinvenuta una sola parola, un solo cenno che abbia il mi nimo rapporto a quanto egli scrive di questo Marco Curione; aneddoto inventato, non meno stolido che impertinente. In mancanza assoluta di monumenti storici ci mostri egli almeno un monumento materiale scavato dalla terra, un’antica iscrizione, un marmo, una mezza lapide, che dia luogo a congetturare, a sofisticare qualche cosa che si avvicini a quanto si vuol far credere con le parole. Ma sventuratamente il suo Corcurione non può mostrare né lapidi, né monumenti; L’Umbro Falisco, l’Umbro Falliene si vuol dunque cangiato in Cor Curionis, detto poi volgarmente Corcurione alludendo al preteso Curione amico di Cicerone di cui si hanno tre lettere al figlio, ed una del figlio a Cicerone che sono le 28. 29. 30. e 31. del libro VII. ad diversos. Per distruggere radicalmente quest’assurda favola del Cor Curionis, o Corcurione che il visionario Casalio fu forse il primo ad inventare, si dia un’occhiata alle lettere citate, e si troverà che quelle di Cicerone dicono Cicero Curio S. D. e quella del figlio, Curius Ciceroni S. D. Se un allievo della scuola di grammatica non vuol commettere un barbarismo , tradurrà il latino delle prime cosi: Cicerone a Curio salute, e quello dell’ altra , Curio a Cicerone salute, perché lo scolare sa bene ciò che non sapevano l’ imbecille Casalio ed i suoi copisti , Tale a dire che la parola Curius ter mina nel dativo in Curio e non già in Curioni , e così nel genitivo in Curii e non già in Curionis; tanto che il paese rifabbricato dal preteso Senatore Romano dove va ricevere il nome di Cor Curii e non di Cor Curionis. Questi sono errori di pura grammatica, meritevoli della indignazione di tutti; ma che il solo staffile deve punire.

Eliminato così Corcurione, resta sempre in piedi Corcorone, o Coccorone. Quale è mai la vera etimologia di tal nome? Aprite gli archivi municipali dell’Umbria dei bassi tempi, come fecero Fannusio Campano, il Corio, il Iacobilli, il Piergili; ivi voi troverete non già i sogni di un Casalio e de’ suoi simili, ma carte e documenti contemporanei ai fatti ed agli avvenimenti di quel tempo. Troverete in Fannusio Campano, che Ottone il Grande nella sua discesa in Italia nell’ anno 962. di nostra salute credette di cangiar la faccia di tutto lo stato del Papa creando una gran quantità di piccoli feudi con darne l’investitura ai suoi Alemanni che l’avevano seguito ed agl’ Italiani che si davano a lui. Fra i primi Enzio Cordiano adocchiò qualche bel villaggio sulle alture del colle, in cui si vede Montefalco; ne formò un castello con beneplacito imperiale da lui posseduto a titolo di contea; e perché lo stemma di questo barone era un core sormontato da una corona d’oro, et pro armis gestabat cor cum corona aurea, ex quibus inditum est nomen castro, egli lo chiamò Corcorona, che il volgo io seguito cangiò in Coccorone. Federico primo Imperatore l’anno 1185, investì della contea di Coccorone Ranaldo dei Monaldi di Foligno aggiungendovi la contea di Antignano nel territorio di Bevagna; lo distinse con molti privilegi e gli donò un Falco addestrato alla preda, rarità maravigliosa in quei tempi e propria allora delle case sovrane, le quali fra i baroni della corte ne creavano espressamente uno col titolo di Falconiere della Corona: lo stesso Saladino Sultano d’ oriente aveva, dice Boccaccio, il suo Falconiere. Allora fu che quel castello cominciò a chiamarsi indistintamente Coccorone, o Monte del Falco, e quando esso nel 1249 s’ingrandì colle rovine di Coccorano distrutto da Federico Secondo per essersi ribellato insieme con Bevagna dalla sua obbedienza, Monte del Falco prese negli atti publici la denominazione di Montefalco, come osservò il Piergili in un istrumento del trenta settembre 1250. con queste parole: terra in territorio Coccoroni, et nunc Castro de Montefalco.Stemma della città di Montefalco Fu da quel tempo che il comune di quella Terra rappresentò nel suo stemma un Falco sopra tre monti.

Tale fu la vera origine di Montefalco. Questa origine non risale al di là del secolo decimo della nostra Era sotto I’ impero di Ottone il Grande progredendo successivamente sotto Federico Primo, Ottone Quarto e Federico Secondo; origine, che ebbe luogo più di dieci secoli dopo la nascita di Properzio.

Noi non avremmo voluto gettare il tempo in trattenerci sopra questo soggetto, se Io storiografo di S. Fortunato nelle sue comiche disquisizioni intorno alla favolosa antichità del Corcurione, del Falisco e del Falliene non si fosse aperta la strada ad insellare la città di Bevagna con toglierle il suo Clitunno, e con asserire stoltamente che l’antica Mevania poteva un giorno essere stata soggetta a quel ridicolo Umbro Falisco da lui goffamente fabbricato. Dopo queste due insolenti quanto stolte pretensioni non v’ è che un grado di più di follia per pretendere di toglierle ancora il suo immortale concittadino.

Stefano Monticelli (Sacerdote Romano) 1829

 

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Divisorio con Stemma Montefalco2018